Chiara Canali
2015
Dolcetto o scherzetto?
Nella tradizione anglosassone Halloween è la festa che si celebra ogni anno la sera del 31 ottobre, vigilia di Ognissanti, per esorcizzare le ancestrali paure del culto dei morti.
In questa festa i bambini, mascherandosi da mostri, vanno di porta in porta chiedendo dolciumi con la famosa filastrocca “Trick-or-Treat”, italianizzato in “Dolcetto o Scherzetto”.
Nel tempo questa tradizione, con tutto il corollario di zucche e candele, è diventata un rituale Pop che si è esteso a tutte le latitudini, Italia compresa, perdendo le sue originarie caratteristiche macabre per assumere tratti carnevaleschi.
Non poteva esserci titolo migliore per questa mostra personale – inaugurata proprio il 31 ottobre – di Pao, street artist la cui cifra stilistica consiste nella rivisitazione del grigio e opprimente ambiente cittadino in un’allegra chiave Pop.
Dolcetto o scherzetto, si diceva, e in questa mostra Pao li rappresenta entrambi, a partire da Dolcetto, nome del tenero epigone dei pinguini panettoni-dissuasori di sosta che hanno reso celebre l’artista nei suoi primi anni. Accanto a Dolcetto troviamo i suoi fratellini El Ghisa e Browny, ultimi esempi di una linea autoriale assai distintiva e ancora fervida, sempre improntata all’ironia e al rovesciamento.
Ma Pao in questa mostra realizza anche dei trompe l’oeil tridimensionali a parete, come nel caso dei Donuts o delle Strutture, giocando arditamente con forme che appaiono concave pur essendo in realtà convesse, oppure presenta immagini piane a pavimento proiettate in 3D, come nel caso della scacchiera bianca e nera di Black Hole, prototipo di tappeto in cui sembra essere risucchiati in un imbuto diretto in un’altra dimensione spaziale.
Nelle calotte sferiche Pao sfrutta l'illusione ottica di un gioco di linee parallele e ortogonali, che diventano curve e convergenti, determinando un rovesciamento percettivo tra l'interno e
l'esterno della figura.
Con questa sua ricerca l’artista integra nella sua tradizionale visione, giocosa e immediata, che potremmo definire “dolcetto”, una riflessione più matura e disincantata sul fenomeno della distorsione percettiva rispetto al punto di osservazione dello spettatore e, dunque, sulla percezione illusoria e fallace della realtà, vero e proprio “scherzetto” per lo spettatore.
Lo stesso Gombrich affermava che le parti di una scena dipinta appaiono muoversi e deformarsi nelle relazioni spaziali man mano che l’osservatore si muove rispetto al quadro. Questi cambiamenti non vengono notati in condizioni normali a causa di un problema di attenzione. Pao alza l’asticella dell’attenzione a un grado più alto, proponendo lo sviluppo della proiezione di un oggetto regolare come il cubo nelle opere Punto interrogativo e Regalo. Quelle che, osservate da un certo punto di vista, sembrano delle rappresentazioni di cubi sono in realtà dei triedri a tre facce, che cambiano continuamente il significato e l’orientamento della visione secondo la posizione che assume lo spettatore nello spazio.
Pao compie così nel mondo fisico continue distorsioni ottiche che, pur strizzando l’occhio alle composizioni paradossali di M. C. Escher e riecheggiando le attuali immagini virtuali delle grafiche al computer, non rinunciano mai all’allegra e spensierata matrice propria dell’artista.
In questo modo Pao sembra avverare, in modo tangibile e in tempo reale, la “Teoria dell’Arte” di Friedrich Schelling, utilizzando forme finite che, tuttavia, contengono infiniti significati per ogni diverso individuo che le guarda.
Lontane da un mero divertissment, le opere cambiano, si svelano e si rivelano in base al punto di vista dello spettatore e basta un passo in un verso o nell’altro per cambiare completamente il senso della rappresentazione di ciò che si vede, in quello che si configura come uno straniante e ipnotico balletto visivo.
Anche questa volta Pao si dimostra artista aperto a vari livelli di lettura e le sue opere sconfinano da un’interpretazione più semplice e immediata a riferimenti intellettuali più alti e colti.
La mostra “Trick-or-Treat” prende il meglio della recente evoluzione dell’artista e ci invita a seguirlo passo dopo passo in uno scambio continuo tra “realtà” e “finzione” nella progressiva presa di coscienza che nulla è come sembra a prima vista e, come già affermava Marc Augé, la finzione è più potente della realtà stessa e a volte la modella.